George Reavey, poeta e traduttore, mezzo russo e mezzo irlandese, lavorava per una casa editrice di Parigi, ove allora risiedeva di solito. Voleva pubblicare in Inghilterra i racconti di Dylan, e ne seguì una lunga e infruttuosa corrispondenza, culminata con una delusione, e che non vale la pena di includere in questa scelta. Anna Wickham era nota per la violenza della sua poesia. Dylan e Caitlin erano andati, dalla Cornovaglia, nella casa dei genitori di lui vicino a Swansea. Si erano poi trasferiti nella casa della madre di Caitlin nello Hampshire. Da questa casa, ove dovevano rimanere a lungo, fu scritta la seguente lettera.

 

a George Reavey
3 gennaio 1938

Blashford, Ringwood, Hant

 

Caro George,
  non sarò a Londra fino alla fine della settimana prossima. Eravamo ospiti, come sai, di Anna Wickham, ma una divergenza di mancanza di opinioni ci ha indotti a tornare in campagna. Temo di non riuscire a trovare una copia di I frutteti. Il racconto è stato stampato nel «Criterion» e ristampato nell'Antologia Faber (anch'essa pubblicata da Faber).
  Non ho una copia di alcuno di questi libri, altrimenti ne strapperei il racconto. Scrivo oggi stesso a casa mia nel Galles, domandando se per caso non esista là una copia. È il massimo che possa fare; non riesco mai a conservare i manoscritti di tutto ciò che scrivo.
  Ti accludo un elenco di nominativi ai quali rivolgersi per l'edizione da una ghinea. Da qualcuno di essi si dovrebbe indubbiamente ricavare qualcosa.
  Ti è possibile scrivere sui particolari del libro al quale hai accennato nel tuo biglietto e al telefono? O preferiresti rinviare fino a quando tornerò in città?
  In ogni caso, fammelo sapere.
  Tuo,                                                                           

 

Dylan

 

- - - – o – - - -


a Henry Treece
gennaio? 1938

Blashford, Ringwood, Hants

 

Caro Henry Trecce,
  questa lettera è per ringraziarla, profondamente, dei doni; in quanto non li considero assolutamente qualcosa di diverso. Anch'io le invierò un dono, un giorno, e possa lei gradirlo come ho gradito io il suo. Le sigarette avevano un sapore migliore di qualunque altra io abbia mai fumato; sono, di preferenza, un fumatore a catena, sebbene di solito manchino tutti gli anelli. Non sono offeso, non arriccio il naso, né la chiamo Boy Scout: la ringrazio moltissimo per avermi mandato due così belle cose; e le sarò grato sempre. (È più di un errore romantico dire che soltanto il poeta della soffitta può produrre il verso immortale; è una menzogna realistica. Si può scrivere con i nervi posti a nudo, ma non con lo stomaco vuoto; l'impulso del poeta non è influenzato dalla fame e dallo squallore, ma il «mestiere» richiede tempo e concentrazione che un uomo tormentato dalla fame non può concerdergli).
  Scriverò prestissimo con, se possibile, altri suggerimenti e manoscritti. Non si disturbi, la prego, a restituire qualsiasi cosa le mandi. Vuole indietro il capitolo?
  Questo è soltanto un biglietto di ringraziamenti, ma la parola non è «soltanto».
  Sinceramente,                                                          

 

Dylan T.

 

- - - – o – - - -


Dan è Dan Jones, attualmente dottor Daniel Jones, il compositore, e il più intimo amico della fanciullezza di Dylan. Augustus J. è Augustus John. «Percy» era un personaggio immaginario inventato da Dylan e Dan Jones molto tempo prima, e già citato in una lettera precedente a Pamela Hansford Johnson. Fred è Alfred Janes, il pittore.

 

a Charles Fisher
11 febbraio 1938

Blashford, Ringwood, Hants

 

Caro Charles,
  questa lettera è soprattutto per domandarti se non riusciresti a trovarmi l'indirizzo di Dan. Sono stato molte volte a Londra dall'ultima volta che ci vedemmo, e volevo combinare un incontro nostalgico con Dan, ma sono riuscito soltanto a sapere che abitava a Sherwood Ho. Harrow, il che non mi sembrava giusto. Torno in città alla fine della settimana prossima e pertanto non potresti farmi avere al più presto l'indirizzo? Sarebbe molto gentile da parte tua e ti lascerò un sicomoro nel mio testamento non appena lo avrò sradicato dal giardino della madre di mia moglie. Mi mancano i nostri incontri di un tempo. Qui, a parte Caitlin e alcune persone nelle immediate vicinanze, non c'è nessuno con cui parlare facilmente eccetto Augustus J., che non ci sente. Swansea è sempre il posto più bello: di' a Fred che ha ragione. Quando la nave di qualcun altro tornerà in patria mi stabilirò a Swansea in una linda villa piena di liquori e di pianoforti e falciaerba e manubri per ginnastica e tele per tutti noi, e la villa si chiamerà Percyvilla. Ho scritto moltissimo rimanendo chiuso in una stanza tutte le mattine con birra e sigarette e gli attrezzi del nostro mestiere. Ho tenuto anche lezioni, a corsi della London University. I miei racconti usciranno il mese prossimo con il titolo The Burning Baby: 16 stories, pubblicati dall'Europa Press di Parigi e Londra, e in due edizioni, una normale e una a tiratura limitata, firmata, povero me. E il mio prossimo libro sarà quella versione capovolta del Viaggio del Pellegrino e uscirà per i tipi dell'Obelisk Press, di Parigi. Fine della pubblicità. Di' il mio affetto ai ragazzi
non posso scrivere a loro perché non conosco né le strade né i numeri e quando risponderai dimmi come stanno e che cosa stanno facendo, e che cosa fai tu e come stai?
  Non dimenticare l'indirizzo, vuoi?
  Affettuosamente,                                                         

 

Dylan

 

- - - – o – - - -

 

Hermann Peschmann era allora professore di lelleraliirn inglese ncll'A-dilli l'Iduiiilidii Depuri meni ilei (ìoldsmith College, Università eli Londra. Insegnavi) ni «>i:,i senili. Dirigeva inoltre un circolo eli poesia, ove Dylan teneva lei I lire. In segnilo diresse il Circolo di poesie di Reigate, nel Surrey, e Dylan tenne letture anche là. Era stato invitato dal «New English Weekly» a recensire parecchi volumi di versi, insieme a un certo numero di riviste dedicate alla poesia. Tra esse trovò versi di Dylan che lo commossero, sebbene non fosse ben certo di averli interpretati esattamente. Per conseguenza scrisse a Dylan, chiedendo delucidazioni. La poesia che Dylan analizza qui è faccio questo in una contrastante assenza che era appena apparsa nel «Twentieth Century Verse», n. 8, gennaio-febbraio 1938, con il titolo Poesia (per Caitlin).


a Hermann Peschmann
1° febbraio 1938

Blashford, Ringwood, Hants

 

Caro signor Peschmann,
  grazie per la lettera. Sono lieto che la mia visita sia andata così bene, e spero di poter tornare ancora.
  Dice di voler sapere di che cosa «tratta» la poesia (in «Twentieth Century Verse»). In questo posso aiutarla. Posso darle un'idea molto sommaria della «trama». Ma naturalmente non può non essere un'idea superficialissima e forse ingannevole, perché la « trama» è narrata in immagini, e le immagini sono quello che dicono, non quello che significano.
  Spero ugualmente che questo possa esserle di qualche utilità, anche se non in modo particolare per la sua recensione. (Potrebbe, a proposito, mandarmi una copia di quel «New English Weekly»? Le sarei molto grato, perché qui sono tagliato fuori da tutto).
  Sinceramente,

 

Dylan Thomas

 

  La poesia dovrebbe essere, in primo luogo, un documento o una narrazione, di tutti gli eventi emotivi tra il venire e l'andare, il formarsi e il dileguarsi, della gelosia, gelosia scaturita dall'orgoglio e uccisa dall'orgoglio, tra l'assenza e il ritorno del personaggio cruciale (o eroina) della narrazione, tra la guerra della sua assenza e l'armistizio della sua presenza. L'«Io», l'eroe, inizia il suo racconto all'andarsene dell'eroina, (Strofa prima) nel momento in cui sente che il suo orgoglio in lui e nel loro fiero mondo sessuale è finito.
  (Strofa seconda) Tutto quell'intenso orgoglio sembra, a lui, essere svanito, risucchiato, forse, nella cieca ferita dalla quale provenne. (Strofa terza) La vede come una donna fatta di opposti, innocente nella colpa e colpevole nell'innocenza, devastata nella verginità, (Strofa quarta) vergine nel rapimento, e come una donna che, per una debole freddezza, riduce a niente la grande forza sessuale, (Strofa quinta) gli estri e gli orgogli del mondo. Gridando le proprie visioni a voce alta, egli fa guerra alla sua assenza, attacca e uccide il suo assente cuore, poi cade, egli stesso, in rovina nel momento di quell'assassinio d'amore. Precipita nella tomba: (Strofa sesta) giace nel sudario, svuotato di visioni e leggende; sente non morto amore nel cuore. I circostanti morti nella tomba gli descrivono un modo di morire e di risorgere: (Strofa settima) l'utero, l'origine dell'amore, inforca il proprio bambino giù nella tomba tenebrosa, lo immerge nella polvere, poi inforcato lo riporta alla luce. (Strofa ottava) E una volta alla luce, l'eroe risorto vede il mondo con occhi penetranti, cambiati; il mondo che era selvaggio gli è adesso mite, la vendetta si è tramutata in perdono. (Strofa nona) Vede il suo amore camminare nel mondo, senza alcuna delle ferite assassine che egli le ha inferto. Perdonato da lei, conclude la sua narrazione di perdono... ma capisce e sa che tutto quel che è accaduto accadrà ancora, domani e domani.

 

- - - – o – - - -

 

Tambimuttu proveniva da Ceylon. Come dimostra la lettera che segue, il primo numero della sua rivista, «Poetry», era appena uscito. Un semplice accenno al poeta del tardo georgiano che si chiamava John Gawsworth faceva scoppiare di rabbia Dylan a quei tempi.

 

a Tambimuttu
5 marzo 1938
Blashford, Ringwood, Hants

 

Caro Tambimuttu,

  grazie per l'assegno e per il primo numero della sua rivista mirabilmente fatta. La stampa è sempre un piacere a leggersi, anche se non lo sono alcune delle poesie. Questo non è scherno, mi creda. Mi congratulo con lei, moltissimo, per la più bella rivista di poesia «intelligente» che io conosca, e per il coraggio della sua introduzione non in voga. Capisco che la tiratura è straordinariamente alta, e che lei non può, per questo motivo, appesantire la rivista con troppi versi difficili... e non voglio dire che il meglio sia difficile, ma soltanto clic la maggior parte del meglio oggi non può non esserlo. Presumo che vi sia, che debba esservi, qualche motivo per cui John Gawsworth F. R. S. L., debba apparire insieme a, diciamo, MacNiece. Penso che includere Gawsworth non v'è nulla di personale in quanto dico in una rivista i cui collaboratori sono quasi tutti, per lo meno, e anche se ben poco d'altro li unisce, nostalgici di null'altro tranne un presente migliore, significhi eccedere nel suo apparente desiderio di rendere «Poetry» leggibile per un gran numero di persone a prima vista. (Concordo, sia detto di sfuggita, ed è soltanto giusto, con una possibile politica editoriale basata sul punto di vista secondo il quale se numerose persone acquisteranno la rivista soltanto per i versi non-troppo-belli che le attraggono facilmente e immediatamente, i buoni versi possono agire su di esse nonostante la loro volontà e la rivista può prosperare). Riesco a vedere l'utilità di incominciare una nuova rivista con una o due liriche facilmente convenzionali, specie se le poesie che il direttore (questo è problematico, senza offesa a dito puntato) predilige in realtà e che appaiono più avanti nel numero contengono parole come Marx, copulazione e pilone; parole tali, probabilmente, e giustamente, da scoraggiare gli assaggiatori delle edicole. Ma non saprei se i pettirossi, i ruscelli e le incisioni su legno agiscano nel senso contrario. La prego, non consideri questa una lettera irata. Voglio, tanto, credo, quanto lo vuole lei, vedere «Poetry» è senz'altro necessaria, le riviste di versi in Inghilterra sono molto tristi diventare qualcosa di divertente e popolare all'estremo. Gli editori di poesia sono quasi tutti immorali arrivisti, con le dita in molte torte, le orecchie accostate a molte toppe e le lingue su molti fondoschiena. Lei ha dimostrato, nella sua introduzione, quanto crede al bene della poesia e nel male delle cricche, delle massonerie, delle scuole di scandalo, dei ménages di menageries, delle categorie dilettantesche dei plagiati di noviziato ecc. Le auguro più abbonati e più potere. Ma una difficoltà ch'io vedo è che, nel tentativo di includere molti generi di poesia, lei finirà in ultimo con il sacrificare la poesia alla varietà. So che ha in avversione, come chiunque le cui avversioni non siano state predeterminate, il genere di antologia che comincia dicendo: «In questo lavoro miriamo a rappresentare ogni scuola della poesia contemporanea» e il genere di libro di testo esuberante e impreciso che comincia: «È ormai chiaro che all'inizio del secolo xx esistevano cinque correnti di pensiero poetico». Tentare, in un saggio o in un libro, di descrivere l'intero «campo» della poesia contemporanea, significa assumere un punto di vista da idioti. Senza dubbio, la sola cosa che il direttore di una pubblicazione possa dire al riguardo è: «Questa rivista pubblicherà le poesie migliori che le saranno inviate, e lascerà che il campo contemporaneo scompaia sommerso dalle proprie viole del pensiero» [«Pansy», viola del pensiero, significa anche «omosessuale»]. (Questo può essere un ragionamento non pertinente, ed io sono certo che sia espresso male). Ho prestato «Poetry» ieri al figlio del mio macellaio, e pertanto non l'ho sottocchio per scriverle particolareggiatamente delle poesie... come lei ha detto che dovrei provarmi a fare. Mi ci proverò nella prossima lettera. La sua l'ho ricevuta appena stamane. Ho ascoltato una delle sue conversazioni alla radio, spero che parlerà presto di nuovo. Santo Ciclo, che cosa difficile deve essere dirigere una rivista di poesia: e in seguito quale acceso entusiasmo o quali condanne da parte dei piccoli e dilettanti pontefici come me. Non ci badi troppo, accolga soltanto le mie sincere congratulazioni. Temo di non sapere quando tornerò a Londra, la maggior parte dei giorni non posso permettermi di spendere un penny per l'autobus. Ma quando verrò glielo farò sapere subito. Con i migliori auguri,

 

Dylan Thomas.


  Le manderò la mia poesia entro mercoledì. Grazie per il tempo in più che mi concede.

 

- - - – o – - - -

 

Henry Treece è un poeta, romanziere e critico. Doveva diventare ben presto uno dei fondatori del movimento poetico denominato «L'apocalisse», che riconobbe in Dylan uno dei suoi maestri. Dylan, tuttavia, apprezzò ben poco i talenti di questi poeti apocalittici e rifiutò sempre di avere qualcosa a che vedere con essi. Nella sua voluminosissima corrispondenza, Dylan parla di rado dell'opera dei poeti contemporanei. Questa lettera a Treece è una delle poche eccezioni.

a Henry Treece
23 marzo 1938

Blashford, Ringwood

 

Caro Henry Treece,
  volevo scriverle non appena ricevuta la sua lunga lettera esplicativa e il primo capitolo del libro, ma a un tratto sono stato occupatissimo nel tentativo di guadagnare abbastanza denaro per poter essere lasciato lavorare in pace. Ora, non essendo assolutamente riuscito a rastrellare soldi o a evitare la bancarotta, circondato dai suoni dello sfacelo o dello sfratto, finalmente e una volta di più sulla soglia di casa, di fronte a un avvenire senza abbondanza, posso risponderle a mio agio.
  Sa lei, mi domando sperando di no, che cosa significa vivere fuori della legge, ai margini estremi della società, sopportare tutte le responsabilità della mancanza di mezzi
che sono più numerose e più pesanti di quanto si creda, in quanto molto si richiede al parassita e la carità, sebbene si possa imparare abbastanza presto a passarci sopra con una sensazione patetica di consolazione, è una montagna da sopportare e vivere dalla mano del vicino alla propria bocca? Io sono arrivato alla povertà con distinzione, mai però alla povertà con dignità; il meglio cui riesca ad arrivare è la dignità con povertà, e preferirei adulare come uno spaniel lecca-scorregge che morire di fame in un mondo di grasse ossa. Una poesia, ovviamente, non può cominciare con la forza e la sincerità che richiede e merita, se non v'è dietro ad essa denaro sufficiente ad assicurarne il completamento; una volta arrivato al secondo verso, l'autore, antiquato stupido, può aver bisogno di cibo e di bevande. Io so che sarò pagato e quanto profumatamente, quanto profumatamente per una poesia quando essa è finita; ma non so come farò a continuare a vivere fino a quando non sia finita. Se devo continuare a vivere scrivendo, dovrò rinunciare a vivere; oppure scrivere in un vuoto. Ora faccio a meno delle sigarette, le formiche bianche tubolari, in un paese brulicante di fumatori. Mi sento nella stessa situazione del professore che fu veduto al largo in mare, sputacchiante, intento a dibattersi, ad agitare le braccia e a gridare, «Sto pensando, sto pensando» [Gioco di parole intraducibile tra «I'm thinking» (sto pensando) e «I'm sinking» (sto affondando)]. La gente sulla spiaggia, che sapeva come pensasse sempre non fece nulla; ed egli affondò.
  Sì, ho veduto la mia poesia definita «considerevole» e «importante», e così è per me. In realtà non sono affatto modesto, perché, pur riponendo scarsa fiducia nella maggior parte della poesia d'oggi, ne ripongo molta nella mia.

 

[...]

 

  Lei accenna a Cameron e a Madge. I versi di Cameron non hanno ammiratore più grande di me, e rispetto i versi di Madge, anche se con una completa assenza d'affetto. Ma quando lei dice che io non ho «il movimento concentrico intorno a un'immagine centrale» di Cameron o di Madge, non tiene conto del fatto che consapevolmente non è il mio metodo muovermi in modo concentrico intorno a un'immagine centrale. A una poesia di Cameron non occorre più di un'immagine; essa si muove intorno a un'idea, da un punto logico a un altro, tracciando un cerchio completo. A una mia poesia occorre una schiera di immagini, perché il suo centro è una schiera di immagini. Costruisco un'immagine sebbene «costruire» non sia la parola esatta, lascio, forse, che un'immagine venga «costruita» emotivamente in me e poi applico ad essa quelle forze intellettuali e critiche che possiedo lascio che essa ne generi un'altra, lascio che quell'immagine contraddica la prima, creando la terza immagine generata dal penzolare sui limiti formali, e trascinando la poesia in un'altra immagine ancora; il fiume contrastante trabocca oltre le insicure barriere e l'armistizio del punto fermo viene tirato e attorto disordinatamente in una serie contraddittoria di puntini e trattini.
  Tutto ciò, naturalmente, non è un commento al suo capitolo, ma soltanto un tentativo affatto riuscito, una volta di più, di «chiarire le cose» a me stesso. In quanto ad utili commenti, temo di non averne. Mi interesserà moltissimo leggere il capitolo sull'influenza di Hopkins, perché ho letto i suoi versi soltanto nel modo più pigro; senza dubbio non l'ho studiato, né, me ne rincresce, ho studiato nessun altro poeta. Il raffronto con i surrealisti dovrebbe fornirle ampie possibilità, specie se, e ne sono sicuro, lei giudica il surrealismo poco più di un intellettuale gioco da salotto. Non ho mai letto, a proposito, una vera e propria poesia surrealista, una poesia, cioè, in francese dei giovani seguaci di Breton. Ho letto alcune traduzioni di Gascoyne, ma non valevano nulla.
  Prima che me ne dimentichi: New Directions, in America, sta per pubblicare sia il mio volume di versi, sia il mio volume di racconti, ed anche il lungo racconto al quale ho lavorato di recente. È intenzione di New Directions di «lanciarmi» in America; le opere d'avanguardia a quanto pare si vendono bene laggiù, gli americani sono dei tali snob della cultura; ed io direi che tra non molto, alla fine dell'anno, forse, dopo che i miei libri saranno stati pubblicati, non dovrebbe esservi assolutamente alcuna difficoltà nel trovare un piccolo editore snob che pubblichi il suo libro; potrebbe essere pubblicato in Inghilterra. Credo proprio che avrebbe più successo, tanto per cominciare, fatto uscire in questo modo.
  Voglio mandarle la dozzina circa di nuove poesie che ho scritto e un fascio di recensioni, ma dovrò aspettare che mi siano spedite dal mio ultimo alloggio. Ecco, però, una poesia nuovissima che io considero
per il momento più soddisfacente in complesso di ogni mia altra cosa. Spero che capisca la scrittura; non ho la macchina per scrivere.
  Mi dispiace di non poterle suggerire nulla. Se mi verrà in mente qualcosa di utile, lo annoterò e glielo manderò, insieme ad altre due, una quarta immagine contraddittoria, e le lascerò entrare tutte in conflitto, entro i miei imposti limiti formali. Ogni immagine contiene in sé i semi della propria distruzione, e il mio metodo dialettico, così come io lo vedo, è un costante edificare e demolire le immagini che emergono dal seme centrale, il quale è esso stesso distruttivo e costruttivo al contempo.
  Rileggendo quanto ho scritto, convengo che sembra bellamente un nonsenso. Dire che «lascio» le mie immagini generarsi ed entrare in conflitto significa negare la mia parte critica nella faccenda. Ma quello che voglio cercar di spiegare
ed è necessariamente vago per me è che la vita in ogni mia poesia non può muoversi concentricamente intorno a un'immagine centrale; la vita deve emergere dal centro; un'immagine deve nascere e morire in un'altra; ed ogni sequenza delle mie immagini deve essere una sequenza di creazioni, ricreazioni, distruzioni, contraddizioni. Non posso neppure, come fa Cameron, e come fanno altri e questo spiega essenzialmente il suo e il loro scrivere intorno all'immagine centrale creare una poesia con una sola esperienza motivatrice. Credo in un singolo filo di azione attraverso una poesia, ma si tratta di una cosa intellettuale che mira alla lucidità per il tramite della narrativa. Il mio scopo è quello, come dice lei, convenzionalmente, di «chiarire le cose». Dall'inevitabile conflitto delle immagini inevitabile a causa della natura creativa, ricreativa, distruttiva e contraddittoria del centro motivazionale, l'utero della guerra cerco di costruire quella pace momentanea che è una poesia. Non voglio che una mia poesia sia, né può esserlo, un frammento circolare di esperienza posto accuratamente al di fuori del fiume vivo di tempo dal quale provenne; una mia poesia è, o dovrebbe essere, un tratto impermeabile del fiume che sta scorrendo in tutte le direzioni, e tutte le immagini in conflitto entro di esso dovrebbero essere riconciliate per quel breve fermarsi del tempo. Riconosco che ognuna delle mie poesie precedenti potrebbe aver l'aria di essere una parte di una lunga poesia; ciò accade perché non sono riuscito a costruire una pace momentanea con le mie immagini nel momento giusto; le immagini sono state lasciate immediatamente; e gli altri manoscritti non tarderanno, spero, a venire. II mio libro di racconti è stato ritardato, perché i tipografi si M un i spaventati e hanno definito certi paragrafi osceni. Mi risulta che adesso è in mano ad altri tipografi e deve uscire il 1° aprile. Gliene manderò una copia, naturalmente.
  Ho, improvvisamente, pensato a una piccolissima cosa, ma si tratta di un punto, probabilmente, che lei ha già toccato, o sta per toccare, di sfuggita: la questione della religione e del sovrannaturale nella mia poesia. So che v'è qualcosa di cui mi piacerebbe scriverle a proposito di tali questioni: dovrò?
  Mi spiace di non poter mettere il francobollo su questa lettera. Mia moglie ed io siamo qui, completamente soli, e non abbiamo né cibo né denaro, affatto. E non ne avremo fino alla fine del mese prossimo. Fino a quel momento, molto francamente, soffriremo la fame. Questo è facile a scriversi, ma sperimentarlo è tutti gli inferni del mondo.
  Molto sinceramente suo,                                 

Dylan Thomas

 

- - - – o – - - -


James Laughlin IV era il figlio di un ricchissimo americano, e aveva approssimativamente la stessa età di Dylan. Di recente aveva lasciato Harvard, contro i desideri di suo padre, e fondato la casa editrice New Directions che pubblicava le opere degli scrittori considerati allora più "d'avanguardia". A quei tempi disponeva di pochissimo denaro, avendogli il padre tagliato i viveri quando se n'era andato da Harvard, e tirava avanti con cento dollari al mese passatigli da una zia. Fu il primo editore americano a interessarsi all'opera di Dylan. Nel 1939 pubblicò The World I Breathe, una raccolta di versi e prose. Rimase, e rimane, l'editore americano di Dylan.


a James Laughlin
28 marzo 1938

Blashford, Ringwood, Hants

 

Caro signor Laughlin,

  grazie per aver scritto e per avermi inviato i libri; mi hanno interessato davvero moltissimo, e li ho trovati splendidamente editi. Le sono profondamente grato delle cose gentili che ha detto del mio lavoro. Non esito affatto, naturalmente, ad accettare la sua proposta di una pubblicazione americana, e a consentirle di avere non soltanto i libri che ho pubblicato in Inghilterra, ma anche i libri che sto scrivendo e che scriverò in avvenire. Vorrei, cioè, che lei fosse il mio editore americano per sempre.
  A proposito dei miei libri che sono stati stampati qui: il primo, Eighteen Poems, che ha avuto, a suo modo, un successo considerevole, è stato pubblicato dalla Parton Press; il copyright è mio e lei può avere il libro quando vorrà. (Sui particolari relativi ai fogli
e alcuni, penso, possono essere già stati stampati, in vista di un eventuale impiego possiamo addentrarci in seguito, non le sembra?)
  Il mio secondo libro, Twenty Five Poems, è stato pubblicato da J. M. Dent. Non sapevo, a proposito, di avere agenti in America; in effetti, non ho mai sentito parlare di Ann Watkins Inc. L'agente letterario inglese che si è occupato delle mie Twenty Five Poems è David Higham, della Higham, Pollinger e Pearn, Norfolk Street, 6, Strand, Londra; la Watkins Inc. può essere una loro associata in America: proprio non lo so. E nemmeno sono mai stato informato dalla Watkins Inc. delle sue condizioni di pubblicazione. Si metterà in contatto con Higham? Gli scriverò contemporaneamente a questa mia. Sono certissimo che non vi sarà nessuna possibile difficoltà nell'indurli a farle avere i diritti americani, ecc., del libro pubblicato da Dent. Dent non ha, naturalmente, alcun diritto sul copyright americano; il mio contratto con quella casa editrice riguarda il solo Impero Britannico.
  Il mio terzo libro, The Burning Baby: 16 Stories, uscirà il 1° maggio
sarebbe dovuto uscire prima, ma vi sono stati alcuni ritardi inevitabili dovuti al fatto che i tipografi si sono spaventati di alcuni passi particolarmente innocui per i tipi dell'Europa Press. Ho già scritto a George Reavey, di quella casa editrice, dicendogli di mettersi immediatamente in contatto con lei, e facendogli osservare come dice lei nella sua lettera che dovrebbe, subito, stampare 500 fogli per lei. Questa faccenda dovrebbe essere risolta facilmente. L'indirizzo di Reavey è: Europa Press, Great Ormond Street, 7, Londra, W.C.1.
  Ora viene la parte più difficile, e per me la più disperatamente importante, di questa lettera. Debbo dirle, subito, che devo avere un po' di denaro, e averlo immediatamente. Vivo interamente con i miei scritti; possono essere pubblicati soltanto in un piccolo numero di riviste d'avanguardia, che non pagano quasi nulla, di solito nulla. Mi sono sposato di recente
contro ogni buon senso, ma con tutta la felicità, il che è ovviamente più ragionevole e siamo completamente squattrinati. Non voglio dire che ci limitiamo a vivere poveramente; voglio dire che siamo senza cibo, senza i vestiti necessari, che abbiamo un tetto per carità, e che prestissimo non avremo più nemmeno tale rifugio. Posseggo adesso meno di uno scellino; non deve arrivarmi altro; non abbiamo nulla da vendere, nulla su cui ripiegare. Se potrò essere aiutato per breve tempo, credo che riuscirò a lavorare abbastanza intensamente per scrivere poesie e racconti che ci garantiranno un po' di cibo e un tetto. Altrimenti, non v'è assolutamente alcuna speranza. Mi scuso per questo piagnisteo, ma tutte le mie speranze si basano sulla possibilità che New Directions ritenga opportuno versarmi un anticipo sui diritti d'autore: sui diritti d'autore, magari, dei libri futuri oltre che di quelli già pubblicati e che sono, a parte determinati accordi, sui quali non posso influire, con Reavey e con il mio agente Higham, già suoi. Firmerò, naturalmente, un contratto con lei, dichiarando che tutti i miei libri, passati, presenti e futuri, saranno pubblicati dalla sua casa editrice se li vuole in America. Se New Directions non ritiene opportuno ed è tutto estremamente irregolare, lo so, e deve essere molto esasperante per lei corrispondermi adesso un anticipo sui diritti d'autore, prima ancora che i libri siano stati pubblicati in America, sono più che disposto a rinunciare ai miei futuri diritti d'autore, e ad accettare qualsiasi somma lei possa versarmi per il completo copyright americano su tutti i libri che scriverò. Infatti, quel che mi occorre adesso, e più urgentemente di quanto possa dirle, è il denaro per continuare a vivere. E, disgraziatamente, denaro subito: questo è l'importante. Spero di terminare presto, forse il prossimo mese, un lungo lavoro in prosa cioè se riuscirò a trovare un alloggio e ad acquistare ciò che è indispensabile, poiché dobbiamo andarcene di qui non appena saremo in grado di comprare un biglietto ferroviario per qualche altra destinazione e di farlo pubblicare a Londra in autunno. Anche questo libro posso consegnarlo, e lo consegnerò, a lei rapidamente come un ulteriore scambio contro l'anticipo che, spero in nome di Dio, lei potrà farmi avere dopo aver ricevuto questa lettera, questa inevitabilmente miserabile lettera per la quale mi scuso di nuovo. Avevo sperato di scrivere tutto ciò in uno stile commerciale, ma non vi sono riuscito. Non vi sono riuscito perché, sebbene non sappia nulla di industria editoriale, o degli accordi che possono essere conclusi tra editore e autore, so abbastanza per rendermi conto che il mio sincerissimo appello per ottenere un anticipo immediato sull'opera che lei desidera pubblicare non è ortodosso ed è, forse, insolente. Mi dispiace di averle dovuto scrivere questa lettera ma sono costretto a fare a meno della dignità e delle formalità, e a perle questa domanda: Può, subito, darmi denaro in cambio del quale io le prometto tutto il lavoro che ho fatto e clic farò? Gradirei moltissimo essere pubblicato da lei. Spero, più di ogni altra cosa, che lei mi risponda. Cercherò di fare in modo che la mia prossima lettera sia una cosa meno miserevole di questa. Molto sinceramente suo,

 

Dylan Thomas

 

- - - – o – - - -


Nella primavera del 1938 Dylan e Caitlin andarono ad abitare a Laugharne (che si pronuncia Larne) nel Carmarthenshire, Galles del Sud. Questa doveva essere la loro residenza nei due anni successivi. Richard Hughes, il romanziere, aveva trovato loro un cottage vicino a casa sua. A fine luglio si trasferirono in una casa più grande, «Sea View», al lato opposto della cittadina.

 

a Henry Treece
16 maggio 1938

Gosport Street, Laugharne

 

Caro Henry Trecce,
  ho traslocato. Cioè, ho lasciato, con bauli e delusione, una istituzione benefica dopo l'altra, e ho trovato e sto ora occupando, con pericolo del mio interno ed esterno, delle mie reumatiche giunture, del mio torace incavato, dei miei nervi moderni, della mia svolazzante e vuota tasca, un piccolo, umido, ammobiliato cottage di pescatori
verde putridume germoglia attraverso le floride foreste scarlatte della carta da parati, starnutisci e le sedie scricchiolano, il letto a due piazze è un'orchestra jazz con pianoforte, piatti, trombone, clarinetto e quasi sveglia i sordi e sifilitici vicini di lato a un estuario in un villaggio remoto. (Il villaggio contiene anche il barbuto Richard High-Wind Hughes, ma ci muoviamo, a cinquecento metri di distanza, in due o più mondi diversi: egli è il proprietario del castello locale, senza tetto e così via, ed abita in una vasta dimora accanto al castello, e ha un palazzo in Marocco. Questi possedimenti leggendari sono stati acquisiti per metà con la fantasia, per metà con l'ascendente. Io potrei battere una cadenza incantata con tutta la mia capacità, essere impertinente, delizioso, ingenuo, adulto, scaltro, ammaliante e furbo per quanto concerne i bambini «Ha l'alchimia fatata»: H. Wolfe ma tutto l'ascendente che riuscirei ad esercitare non mi procurerebbe nemmeno un sacchetto di carta con pupù di escursionisti proveniente dalla caverna di Merlino). E questa è la mia giustificazione per non avere scritto, per non averla ringraziata del capitolo su Hopkins e perché non accludo a questa lettera il manoscritto promessole. Mi è occorso un sacco di tempo per sistemarci. Spero che mi perdonerà.
  Mi ha colpito molto il capitolo su Hopkins, e questo significa che l'ho apprezzato e l'ho trovato in gran parte vero. Quanto lavoro le è costato. Non mi ero mai reso conto dell'influenza che egli deve aver esercitato su di me. Come le ho già detto, l'ho letto appena. Ho letto molto di più Francis Thompson. Non sono mai stato consapevole dell'influenza di Hopkins. Quando ero ragazzo, a quindici o sedici anni, e scrivevo in ogni genere di modi falsi nei miei confronti, e componevo ogni sorta di imitazioni accademiche, copiando talora spudoratamente e talora con la ben repressa consapevolezza di una pretesa di originalità, constato
rileggendo molte centinaia di quelle mie primissime poesie che non v'era, e continua a non esservi, per me, alcun indizio di un Hopkins in nessun punto. (E lo avevo letto, allora, cosi come avevo letto moltissima poesia, buona e cattiva; o, piuttosto, avevo letto fino alla fine il suo libro). Le persone che si incontravano soprattutto in quelle mie prime poesie erano, credo, gli elisabettiani e George Peele, Webster, e, più tardi, Beddoes, qualcosa di Giare (i suoi duri sonetti campagnoli), Lawrence (poesie animali e i passi in versi del Serpente piumato), un po' di Tennyson, un po' di pessimo Flecker e, naturalmente, parecchie briciole da ogni poetica allora in voga gli Immaginisti, i Sitwell letta successivamente. Ma in tutta questa confusione, della quale le accludo inalterati alcuni passi di poesie, non vedo affatto Hopkins. Potrebbe vedercelo lei; mi ha già dimostrato parecchie cose in quello straordinario capitolo. A volte, penso, l'influenza di Swinburne è più ovvia di quella di Hopkins in un paio di citazioni dei miei versi di cui lei si serve. «E tutti e tutti gli aridi mondi si accoppiano», ad esempio. Questo è ritmicamente giusto, per lo meno.
  Moltissima della mia poesia è, lo so, un'indagine e un terrore di spaventose aspettative, uno scoprire e affrontare la paura. Contengo in me una bestia, un angelo e un pazzo, e la mia ricerca concerne la loro azione, e la mia difficoltà consiste nel loro soggiogamento e nella loro vittoria, negli abbassamenti e nei sollevamenti, e il mio sforzo è la loro autoespressione. La nuova poesia che le accludo, How Shall My Animal, è un'indagine particolareggiata; e la poesia inoltre è il risultato dell'indagine, ed è il massimo che io possa, attualmente, raggiungere o sperare. La poesia è, tutte le poesie lo sono, la domanda e la risposta di se stessa, la sua stessa contraddizione, la sua stessa concordanza. Chiedo soltanto che la mia poesia venga presa alla lettera. Lo scopo di una poesia e il segno che essa stessa produce: è la pallottola e il centro del bersaglio; il bisturi, il tumore e il paziente. Una poesia si muove soltanto verso la propria fine, che è l'ultimo verso. Ogni altra cosa più in la di questa è la sostanza problematica della poetica, non della poesia. Questo è il mio solo argomento critico, se tale può essere chiamato; il resto è un argomento poetico, e può soltanto essere trovato nelle poesie.
  Ho cercato tra alcune vecchie recensioni, sperando di trovare un po' di vago materiale per lei. Una delle migliori recensioni di 25 Poems è stata quella di Desmond Hawkins nello «Spectator», ricordo, ma non ne ho una copia. Ha detto parecchie ottime e chiare cose. Eccole alcune recensioni che potrebbero fornirle qualche spunto per commenti, eccetera. È inutile, non è vero, spedirle le normali recensioni, che condannano senz'altro o si congratulano... è una grande poesia, è una sciocchezza. Stephen Spender, a proposito, ha detto in una recensione sulla produzione poetica dell'anno, qualche tempo fa
nel «Daily Worker» «La verità è che la poesia di Thomas è aperta come un rubinetto; è soltanto sostanza poetica senza un principio né una fine, senza forma o un controllo intelligente e intelligibile». Crede che queste parole valgano la pena di essere menzionate e confutate? È un convincimento sostenuto da molti poeti fantasiosi come Spender. (Mi piacerebbe sapere, inoltre, quanto di questo assoluto esempio di nonsenso, sia stato causato da una recensione che io scrissi un tempo per «New Verse» dell'operetta Vienna di Spender. Ha una copia di quella recensione?) So che non può voler introdurre nel suo libro alcuna particolare disputa, ma l'osservazione di Spender è davvero l'opposto della verità. Le mie poesie sono formate; non vengono affatto aperte come un rubinetto; sono «compartimenti stagni». Gran parte dell'oscurità è dovuta a una severa compressione; l'ultima cosa che facciano è quella di scorrere; sono piuttosto tagliate con la scure. Semmai è proprio Spender a non avere alcuna idea della forma. La sua poetica è così simile alla poetica, e così remota dalle poesie, che, secondo me, la maggior parte della sua opera diverrà quasi illeggibile quanto i peggiori georgiani... e molto presto.
  Un altro commento che ho trovato in una recensione
di Julian Symons su Hart Crane in «2Oth Century Verse» è: «Nessun poeta moderno tranne Thomas è, per me, più commovente, più capace di plasmare le parole sulla forma delle lacrime del lettore». Accennerà a Hart Crane? Tre o quattro anni fa, quando conobbi Norman Cameron, egli mi disse che l'influenza più ovvia sulla mia poesia era quella di Crane, un suo amico. E rimase stupefatto, e a tutta prima incredulo, quando gli dissi che non avevo mai sentito parlare di Grane prima di allora. Mi mostrò alcune sue poesie, e potei senz'altro rendermi conto di quello che aveva inteso dire: v'erano effettivamente due o tre esempi di frasi quasi identiche, e gran parte dell'effettivo suono sembrava simile. Da allora ho letto tutte le poesie di Crane, e sebbene ora veda che la somiglianza tra la sua poesia e la mia è molto esile, capisco che alcune persone possano tuttora essere convinte dell'influenza da lui esercitata su di me.
  Mi domanda del Medioevo. Non ne so niente. Deve ricordare che non ho avuto alcuna istruzione
lasciai una scuola secondaria di provincia quando avevo quindici anni o press'a poco e non ho mai letto nulla tranne le opere inglesi moderne. Inoltre non so leggere il francese, sebbene più volte sia stato detto che imito i surrealisti, eccetera. Sono ansioso di leggere il capitolo sul surrealismo e le poesie «pure».
  Voglio che lei riceva subito questa lettera del tutto inadeguata. Vi sono stati troppi indugi tra i nostri scritti, ma la colpa è tutta mia, ed ora sono di nuovo sistemato, sebbene precariamente. Non accludo a questa lettera una scelta delle primissime poesie; cercherò di farle battere a macchina domani e poi gliele spedirò subito. Non ho dimenticato la religione e il sovrannaturale, ma adesso mi ha l'aria di un saggio che debba essere scritto, e quindi sarà meglio se dirò quello che ne penso, a caso, non formalmente, di volta in volta. Una delle volte sarà quando le spedirò le poesie battute a macchina, domani o dopodomani. Di nuovo, mi perdoni. Ho qui molto materiale
recensioni, circa dieci quaderni di scuola pieni di poesie, alcuni articoli sulla poesia, eccetera e occorre soltanto sarchiare e tagliare un po' prima che possa farglielo avere. Se ha domande che potrebbero essere state suggerite dai capitoli già scritti, o dal piano del resto del libro, me lo faccia sapere senz'altro.
  Con tutti i migliori auguri,

 

Dylan T.

 

- - - – o – - - -


Edith Sitwell fu tra i primi a proclamare Dylan un genio. Nel settembre del 1936 aveva lodato Twenty-five Poems nel «Sunday Times» e ne era conseguita una furiosa corrispondenza. Michael Roberts era un poeta e un critico, influente negli ambienti lette-mi i di quel tempo. Clifford Dyment era un giovane poeta che aveva collaborato a «New Verse» di Geoffrey Grigson, tra altre pubblicazioni. David Gascoyne era un poeta surrealista, di poco più giovane di Dylan.


a Henry Treece
1° giugno 1938

Gosport Street, Laugharne

 

Caro Henry Trecce,
  penso che Edith Sitwell sarebbe molto lieta di leggere il libro. Non so se le piaccio, personalmente, adesso, o no. Ho in mente che sia offesa, ma posso sbagliarmi. Le ho scritto circa due mesi fa, al suo indirizzo di Parigi, ma non ho ricevuto alcuna risposta; forse è partita, forse la lettera non le è stata inoltrata, forse l'indirizzo era sbagliato, forse è stata offesa dal mio lungo ritardo nel rispondere alle sue lettere, forse è diventata troppo pigra o maleducata (di questo dubito molto). In ogni modo, il mio lavoro continua a piacerle e indubbiamente le piacerà il suo; e il suo indirizzo di Londra, che non può essere sbagliato a meno che non vi sia stata una scorreria nell'istituto di sorde e mature signore, è c/o The Sesame Club, Grosvenor Street, 49, W.1. L'indirizzo di Parigi è Rue Saint-Dominique 129, VII.
  A proposito della recensione di lei, e delle lettere successive nel «Sunday Times», alcune delle quali dice che potrebbe menzionare o includere: Ella cade in alcune interessanti letture errate, o, piuttosto, mezze-letture. Dice che la «tomba dalle mani campagnole» nella mia poesia A Grief Ago è «quella semplice infermiera della sofferenza, quel contadino che coltiva fiori e granturco». La mia immagine, essenzialmente, non faceva della tomba un gentile coltivatore, ma uno spietato possessore, uno stupratore battagliante e complicato più che una semplice infermiera o un innocente giardiniere. Intendevo dire che la tomba aveva una campagna per ciascuna mano, che alzava quelle mani e «boxava» l'eroe della mia poesia costringendolo all'amore. «Boxava» contiene la bara e il guantone del pugile [Perché «box» in inglese significa «cassa»]. L'analisi di Edith Sitwell, in una lettera al «Times», dei versi «II divoratore atlante con una mascella per le notizie/ morse la mandragora con l'urlo di domani» mi sembra molto vaga e tipo giornalismo domenicale. Ella dice che i versi si riferiscono alla «violenta rapidità e alla follia della vita moderna che ama le sensazioni e gli orrori». Non accetta il significato letterale: che una creatura spettrale divoratrice del mondo morse l'orrore di domani dai lombi di un gentiluomo. Una «mascella per le notizie» è un'ovvia variante di «naso per le notizie», e significa che la bocca della creatura può assaporare già l'orrore non ancora venuto o può intuirne la venuta, può ficcare la lingua in notizie che ancora non vi sono state, può assaporare l'enormità della progenie prima che il seme si agiti, può rendersi conto dello sgretolarsi della carne morta prima dell'aprirsi dell'utero che consegna quella carne al domani. Che cos'è questa creatura? È il cane tra le fate, il libertino e il farabutto tra i miti, il mordace contro i demoni, lo spaventa-fantasmi, l'inseguitore alle calcagna degli stregoni. Questa poesia è un particolare incidente in una particolare avventura, non una deprecazione generale, ellittica di questa «orribile, folle, rapida vita».
  Lei dice che vuoi far vedere il libro a Michael Roberts, il quale sarà «comprensivo nei nostri riguardi». Non mi sta pestando le corna quando definisce Roberts un buon Pensatore, ma io personalmente posso fare a meno della sua condiscendenza. Egli ha scritto nel «London Mercury»: «è un peccato che D. T. debba dare a volte l'impressione di servirsi di un vasto e personale vocabolario semplicemente per un'esibizione da scolaretto». Le parole alle quali obietto non sono «un'esibizione da scolaretto», perché non ho paura di mettermi in mostra o di lanciare il berretto in aria, ma «è un peccato». Quale funzione ha questo condiscendente «peccato» nella critica? Mi occorre forse un critico per piangere sui miei errori di gusto? Che egli li additi e mi dica, se gli garba, come rimediarvi: ma che, per amor di Dio, non mi dimostri comprensione.
  Sì, dovrei senz'altro scrivere a James Laughlin di New Directions (Norfolk, Connecticut). Ho avuto numerosissime lettere da lui, di recente, relative ai programmi per la pubblicità ai miei racconti e alle mie poesie in America, e so che il suo libro lo interesserà moltissimo. Sembra gentile e molto serio, e mi ha fatto avere piccole somme di denaro regolarmente, sebbene adesso non mi giungano più. Parla dei «suoi» poeti, e ha un interesse da usuraio per l'oscurità.
  Mi domando se lei abbia pensato di scrivere qualcosa
magari soltanto pochi paragrafi sulla caratteristica gallese della mia poesia: vi si accenna spesso nelle riviste e nelle critiche, ed io non l'ho mai capito. Voglio dire, non ho mai capito questi discorsi razziali, «il suo talento irlandese», «un'ispirazione senza dubbio scozzese», M parte il whisky. Keidrych Rhys direttore dell'ottima piccoLi rivista «Wales» ha sempre molto da dire al riguardo. È un ardente nazionalista, e crede in tutte le storie sull'ispirazione razziale e così via. Se lei volesse, potrebbe scrivergli un rigo (c/o J. F. Hendry, Vernon Road, 20, Leeds) e dirgli del suo libro e domandargli die cosa ne pensa dell'influenza gallese nel mio lavoro. In ogni caso, riceverà una lunga e interessante lettera: è l'eccentrico del tipo migliore.
  Sì, oompah è un termine delle orchestre jazz. Le accludo un glossario tratto dal racconto apparso in una rivista di jazz: «Black Trumpet».
  Credo che il metodo da lei adottato nel capitolo sul surrealismo
l'eliminazione delle idee sbagliate e superficiali mediante l'attacco e la contrapposizione delle citazioni sia il solo efficace, e l'intero capitolo mi è sembrato estremamente ben ragionato e costruito. Conosce la poesia di Gascoyne, pubblicata in uno dei primissimi numeri di «New Verse», che incomincia con qualcosa come «Bianche tende di tormentato destino»? Vi sono in essa alcuni versi dei quali, ne sono certo, lei potrebbe servirsi, versi di gran lunga più avvincenti e precocemente pazzi di ogni altro nella sua poesia Magritte. Non ho nulla su cui discutere in questo capitolo e, a parte la poesia di Gascoyne per una citazione, nessun suggerimento. È un ottimo lavoro e mi ha convinto una volta di più che la mia savia idea fissa, un'ape nel berretto, non può essere amica della vespa francese la quale eternamente trafigge se stessa procurandosi una chiassosa e non dignitosa morte con un pungiglione di spago bollito.
  Mi aveva detto, in una lettera precedente, che avrebbe potuto trascorrere parte delle vacanze estive nel Galles? Perché non venire a trovarci qui? C'è posto per lei, e cibo.
  Suo,                                                                        

 

Dylan T.


  Aspetto con impazienza gli altri capitoli e cercherò di farle avere le poesie che le ho promesso
le prime molto presto. Riordinarle non è semplice come avevo immaginato.

 

- - - – o – - - -

 

Il racconto cui si riferisce la lettera seguente è Le pesche che fu nuovamente pubblicato l'anno seguente come una parte di Ritratto dell'artista da cucciolo. Robert Herring era il direttore di «Life and Letters Today».

 

a Henry Treece
16 giugno 1938

Gosport Street, Laugharne

 

Caro Henry Trecce,
  sono davvero molto lieto che vengano entrambi a passare- un po' di tempo con noi in estate; quando vorranno, per quanto voi ranno. L'avverto che il nostro cottage è piccolo e brutto, quattro stanze simili a casse sudice in una fila di casupole per operai e pescatori, con un giardino dal quale si scende alla melma e al mare, l'avverto che la nostra esistenza e la nostra cucina sono grossolane, che deve fare il bagno in mare o restare sudicio. Troverà mia moglie estremamente carina; e me piccolo, polemico, di buon carattere, pigro, maldestro, bevuto il più possibile, «piccolo borghese» negli atteggiamenti e nelle reazioni, una sudicia linguaccia, un giovanotto stupido. Spero che le piaccia bere perché a me piace moltissimo e quando ho soldi non la smetto più. Vi sono tre buoni bar, qui, la migliore birra dolce imbottigliata d'Inghilterra, e nessun divieto di bere in determinate ore. Vi sono passeggiate, e barche, e reti da tirare, e bugiardi colossali da ascoltare. Abbiamo un letto a due piazze in una stanza, due letti singoli nell'altra; loro possono dormire nel letto matrimoniale, o nei due letti singoli, o compressi in un unico letto. Ve un gabinetto scavato nel terreno che puzza come un cesso. Benvenuti; e mi faccia sapere quando. (A proposito, come devo chiamarla? Gettar via Treece?)
  Questo è di nuovo un brutto momento per me e non posso comprare il francobollo per la lettera. Non ho un solo penny, o un mezzo penny, né una vecchia moneta francese. Senza fumo e senza pane, abbiamo dinanzi a noi un brutto weekend. Aspettiamo scellini che non abbiamo alcun diritto di aspettarci. Amara, crudele Laugharne; la mia pipa è piena di cicche tolte dalla grata, il tavolo è gremito di finali morti di poesie, ho la testa piena di assurdità. Il sole sta splendendo sul fango; mia moglie è fuori in cerca di molluschi. Io sto scrivendo a un critico del Northumberland. Una ragazzetta è venuta con focacce; dico «Niente focacce» sebbene tutta la mia anima eterna urli per averle e il ventre mi si rivolti alla vista, in cucina, di due poveri pesci che abbiamo pescato, due tra tutti i riproducentisi mostri del mare, con una rete lacerata, ieri. La settimana scorsa ho terminato un lungo racconto sulla mia vera fanciullezza, ed ecco qui una lettera di «Life and Letters» la quale mi dice che lo pubblicheranno e lo pagheranno a settembre.


O Chatterton e altri in soffitta
Legati a una lampada a gas
A prendere come narcotico il fluido di Jeyes;
Bevete alle tette della terra,
Il bestiame della vita è un veleno migliore di quello in bottiglia
Un veleno migliore fermentato in bava
Che si potrebbe cavare dalle budella di un serpe;
Ogni sensazione emette
Un nuovo aceto;
Sii un uomo normale
Con una sega alla giugulare.
Nelle notti stordite in cui schiaffo sulla maschera della luna
Un pazzo con la spazzola ha schiaffeggiato una faccia
Colgo un gambo di sedano nella valle
Trovo i calzoni di un gitante nel burrone
E bevo un altro sorso dalla fiaschetta.
Qual è il significato, voci, nell'erba rettilinea,
Quale nel suolo caldo compresso? Un piccolo ometto
Non trova alcun senso nella pioggia che volente nolente
Impregna fino alla maglia vecchi maestri di scuola e ubriachi.
Dissezionate quell'asserzione, voci, sulle lastre.
L'amore è una decisione di 3 nervi
E su o giù chiedono le domande dell'amore.
Nelle notti stordite schiaffeggio alcune curve ebbre
Schiaffo sulla maschera dell'ebbra luna.
Trangugi stupro e si sposi, serve anche colui
Che soltanto beve i guadagni
E amoreggiando andrebbe intorno alle tombe.
Celibe siedo e vedo
Figure di donne attorno alla mia cella,
Figure di donne sul muro
Puntano contro di me i piccoli seni;
Devo aspettare un sorriso di donna
Non nel sole ma nelle tenebre;
Le due parole stallone e sterile
Stanno in un punto interrogativo.
La donna sorridente è un folle racconto,
Spazzalo via, spazza una briciola
Dal tavolo del predicatore.
Ti offro donne, non la donna,
Una casa e la dote:
3 piccole lussurie saranno la tua dote,

E la tua casa la stalla di un centauro.

 

  Questo è meglio; ma il guaio è che posso facilmente sentirmi così in questi giorni, e quando ho detto che la mia testa era piena di assurdità, dicevo sul serio. Sono un esperto nello scimmiottare i miei stati d'animo: ora potrei portare il cappello invisibile di Dowson, e la mia gola può racchiudere il morto rantolo di Chesterton.
  Quando ho accennato a «Life and Letters», pensavo che quella rivista avrebbe potuto interessarsi facilmente ad ogni suo capitolo che lei volesse pubblicare a parte. Herring è mio amico, più o meno, e perché non scrivere a lui? E mi dica, la prego, quale poesia, o frammento di poesia, vorrebbe che io analizzassi nei particolari per una nota a pie di pagina? Le manderò alcune cose molto presto, e cercherò di rispondere alle sue domande. Lei potrebbe mandarmi il capitolo sulle «pure» qualche volta. Mi scuso per la lettera confusa, per la mancanza del francobollo.

 

Dylan Th.

 

- - - – o – - - -


a Henry Treece
6 o 7 luglio 1938

Gosport Street, Laugharne

 

Caro Henry,
  avrei dovuto scrivere dieci giorni fa e ringraziarla del cortese e gradito dono-focacce, sei giorni fa e ringraziarla dei capitoli, e avrei dovuto rispondere immediatamente al suo breve biglietto a proposito del 2 agosto. Ma villanamente ho rimandato tutto, in quanto mi occorreva tempo per leggere con attenzione i capitoli, per scriverne, per analizzale una poesia, per rispondere alle sue domande, in modo da essere in grado di mandarle una lettera lunga e piena. Anche adesso, che finalmente le scrivo, queste ambizioni sono realizzate soltanto in parte e ancor piene di falle, e l'analisi, che Freud l'aiuti, deve aspettare fino alla prossima volta. Sto lavorando, duramente per me, anche se i risultati sono scarsissimi: un po' di prosa incompleta su una donna che deperisce, una poesia addomesticata, un sapore di belle parole nella testa.
  Sono particolarmente lieto che lei possa venire ed essere nostro ospite nella settimana d'agosto, in quanto qui è la settimana dei grandi festeggiamenti: un carnevale con la reginetta, una regata con premi, un ballo con ubriaconi. Laugharne
che si pronuncia Larn sarà quasi gaia, e certamente affollata. Il Grande Vento fa squillare la sua tromba, pochi che siano in grado di uscire da casa loro vi torneranno, vi saranno discorsi, ubriacature, vomitate, e dovremo tutti vestirci a festa. Forse non sarà affatto così, ma è comunque una settimana indicata per un soggiorno. Avevo sperato che, per il suo arrivo, saremmo stati nella nuova casa, ma ormai è improbabile. E non so come si arrivi da qui a Harlech, ma so che ci si va molto facilmente; il Galles del Nord è soltanto un pochino più avanti, in una direzione o nell'altra. Né so come si arrivi a Laugharne dal Northumberland; in qualche modo, questo lo so, deve arrivare a Carmarthen o a Tenby: noi ci troviamo a circa metà strada. Da Londra è semplice (ma non serve): da Paddington a Carmarthen, senza fermate, mezz'ora di autobus. Qui non c'è una stazione ferroviaria, ma abbiamo un grazioso municipio. Lei da dove partirà? (E no, prima che me ne dimentichi, non sono stato nell'ufficio postale di Baker Street il giorno di Natale del 1936). (Lei si trovava forse nel reparto boe del Museo navale di Llantrisant il Giorno della Mamma? Perché proprio in Baker Street?)
  Mi è parso che il capitolo sulle poesie pure fosse convincente e conciso. Sbaglio, o, secondo la sua citazione di Eliot in testa al capitolo, la poetica di queste poesie pure è una fuga calcolata dalla parata di personalità delle mie poesie fragorose e complicate? Io non so se davvero lo siano, e proprio non vedo come potrebbero esserlo. Le scrissi, quasi tutte, in ogni caso, molto tempo prima delle altre poesie del libro 25. Le poesie pure nel 25 furono, invero, tranne pochissime eccezioni
potrò mostrarle tutte le date quando ci vedremo, ma non riesco a ricordare adesso le eccezioni perché non ho le copie dei due volumi scritte prima della maggior parte delle poesie nel libro 18. Ma non voglio ora confondere le cose; potremo esaminare tutti i miei manoscritti (se la cosa la interessa, naturalmente) e vedere esattamente quale sia la genealogia di queste poesie. I risultati potrebbero essere curiosissimi. Entrambi i volumi contengono poesie scritte nel corso di circa otto anni; non v'è una sequenza definita. Ho ancora parecchio materiale, in forma manoscritta, da foggiare in vere e proprie poesie: che includerò, molto vagamente (cioè, senza tener conto di un facilmente segnato, pianificato «progresso» critico) nei futuri libri. Ma di questo possiamo parlare. (Quelle qui sopra sono macchie di tè).
  Mi ha interessato quanto ha detto della mia mancanza, tranne in quella piccola poesia-dito, di ogni coscienza sociale. Presumo di essere, in senso lato (in quanto contrapposto ai pensatori irreggimentati e ai poeti in uniforme) antisociale, ma sono estremamente socievole. Tuttavia, è senza dubbio evasivo dire che la mia poesia non ha alcuna coscienza sociale
nessuna prova di un contatto con la società mentre in gran numero le mie immagini provengono dal cinematografo e dal grammofono e dal giornale, mentre mi avvalgo del gergo contemporaneo, del cliché e del gioco di parole. Lei voleva dire, lo so, che la mia poesia non è interessata alla politica (in teoria la scienza del conseguimento e dell'«amministrazione» della felicità umana) ma alla poesia (che è una rivelazione-non sentimentale e per la quale la felicità non è più importante o qualunque altro termine dell'infelicità). (Approfondirò questo concetto, se lei lo desidera. Non che sia oscuro, ma può, in qual che modo, essere utile ampliarlo). Tuttavia, lei mi ha dato l'impressione di considerarmi in effetti ignaro di quanto mi circonda, senza alcun contatto con la società per la quale sono necessariamente un fuorilegge. Ha ragione quando fa osservare che io giudico l'inciampare di uno scoiattolo della stessa importanza, per lo meno, delle invasioni di Hitler, degli assassini! in Spagna, del romanzo d'amore tra la Garbo e Stokowski, dei personaggi reali, della legge del linciaggio, dei disastri minerari, di Joe Louis, dei perfidi capitalisti, dei comunisti santarellini, della democrazia, delle Ceneri, della Chiesa d'Inghilterra, del controllo delle nascite, della voce di Yeats, delle macchine del mondo nel quale vivo e mi agito, dei bar - bambini - clima - governo - gioco del calcio - età giovanile - velocità - rossetto per le labbra, di tutte le piccole tirannie, dei test d'intelligenza, dell'ira fascista, dei lampi momentanei, le eruzioni, le scorregge, i fiaschi, gli organetti a cilindro, gli zufoli, gli obici, i piccoli rantoli di morte, gli uggiolii vulcanici del mondo in cui mangio, bevo, amo, lavoro, odio e gioisco... eppure io sono consapevole anche di queste cose.
  Un'altra piccolissima critica: nella sua Introduzione lei dice che «non mi sporgo, come gli altri poeti della mia età, oltre i cancelli, cercando un'affinità con asfodeli e greggi». Si riferisce agli altri poeti della mia età in anni, della mia generazione o del mio secolo? Io le domando, quali altri poeti della mia età si sporgono oltre i cancelli? È una battuta contro i giovani Georgiani, non contro i poeti di «New Verse», i vasi di letame intellettuali appoggiati a una teoria, i postsurrealisti e gli orgasmisti, i fischiatori e gli abbaiatori tette-nella-notte, Empson che si sporge oltre i propri denti a guardare giù per una gola gelida come ghiaccio il mistero matematico delle sue scarpe che calpestano la condanna, Cameron che cavalca linde tombe. E, in realtà, «cercare un'affinità» con tutto, asfodeli, greggi, corni da scarpa, santi, api e zii è esattamente quello clic faccio. Io penso, con tutta la debita mancanza di rispetto, Cne sta una battuta futile in ogni caso.
  È quasi l'ora di imbucare e non ho fatto pressoché nulla tranne schiamazzare per questioni di pochissima importanza. Credo che rimanderò la maggior parte dei miei commenti e delle mie critiche ad agosto. Ma le scriverò presto, opportunamente presto, dicendole altro su questi capitoli. Ho preso parecchi appunti che richiedono soltanto un po' di elaborazione per formare una lettera lunga, volgare, entusiastica, polemica, che non dimostrerà un bel niente. Scriva quando può. Le restituisco l'Introduzione.
  Suo,

                                                                       

Dylan T.


  Non ho, naturalmente, letto i capitoli che lei mi ha mandato in un ordine qualsiasi, ma, da quanto ho letto, mi sembra che lei abbia citato una mezza dozzina di volte quella parte fate-che-sia-pulito-ragazzi delle mie Risposte a un'inchiesta. Ciò è dovuto, probabilmente, all'irregolarità delle letture. A che punto è adesso il piano del libro? Le farò avere senz'altro l'analisi di una poesia per una nota a pie di pagina, e altro materiale di cui eventualmente volesse servirsi, potrà emergere dal nostro futuro esame in comune delle pile di manoscritti.

 

Dylan

 

- - - – o – - - -


Tom è Tom Warner, il musicista, un altro intimo amico di Swansea.

 

a Charles Fisher
giovedì, fine luglio 1938

Seaview, Laugharne, Carmarthenshire

 

Caro Charles,
  abbiamo cambiato casa e arricciato il naso. La nostra casa di prima, un tempo un palazzo, è adesso quel cottage. Come abbiamo potuto esistere laggiù supera la nostra capacità di comprensione. Qui potremmo avere due camere da letto ciascuno, cosa del tutto inutile.
  Vuoi dare a Tom questo biglietto?
  Quando verrai a trovarci? Henry Trecce verrà la settimana prossima nostro ospite. Vuoi venire anche tu e conoscerlo? Porta qualche poesia.
  Con affetto,                                                                 

 

Dylan

 

- - - – o – - - -


Le preoccupazioni di denaro continuarono ad assillare Dylan per tutta l'estate del 1938, come del resto dovevano assillarlo per tutta la sua vita. John Davenport, il poeta e critico che era e rimase un suo intimo amico, aveva fatto ritorno di recente da Hollywood con la moglie Clement. Aiutò personalmente Dylan, e tentò inoltre di indurre anche altri ad aiutarlo. Propose poi di rivolgersi a favore di Dylan al Royal Literary Fund, e inviò a Dylan un elenco di possibili firmatari di un appello del genere. In quanto alle persone cui si fa cenno in questa lettera, sono, con i nomi trascritti correttamente: Ralph Straus, scrittore e critico; Brian Guinness, ora Lord Moyne, poeta e protettore delle arti; Cyril Connolly, autore e critico, che presto doveva dirigere «Horizon»; Aldous Huxley; John Hayward, direttore di riviste, biografo e autore di antologie, intimo amico di T. S. Eliot; E. J. O'Brien, direttore della pubblicazione annua Best Short Stories of 195-; Arthur Calder-Marshall, scrittore di racconti, romanziere e critico; John Collier, scrittore di racconti e romanziere; Stephen Spender, poeta e, a quei tempi, propagandista; William Empson, poeta, critico e filosofo; Laz Aaronson, critico; Peter Quennell, poeta, biografo e critico; Edgell Rickword, poeta.

 

a John Davenport
31 agosto 1938
Laugharne, Carmarthenshire, Galles del Sud

 

Caro John,
  grazie infinite. Che elenco di ragazzi, i pennini del PEN Club, succhiapipe, impantofolati, con il «New Statesman» in tasca, «Mr Y ha timbro», collaboratori di simposi («Scrivo con inchiostro bianco stando inginocchiato»). Come posso scegliere tra tanta abbondanza, escludere uno Strauss per un Guinness? No, lascio fare a te, se non ti spiace fare la scelta, perché forse tu sai in quale tipo di scrittore avrà più fiducia il Royal Literary Fund. In quanto a me ho scritto a Eliot (che ha risposto, e ha già scritto «in termini energici» al segretario) e a Connolly, che ancora non ha risposto (si trova in Inghilterra, che tu sappia?) Io direi che siano preferibili i nomi più noti e in genere meglio noti. Huxley? È famoso e rispettabile, non è vero? ma dubito moltissimo che sappia chi sono io. Ha importanza, questo? Ho avuto notizie dal segretario stamane; dice che il suo comitato non tornerà a riunirsi fino ad ottobre, una data gelidamente e malinconicamente lontana, pertanto intende avvicinare il governo a mio nome per una somma immediata. Per far questo, gli occorrono, subito, alcune lettere «che autentichino i meriti» del mio caso. Sicché il punto è questo: quali dei nomi che tu proponi (è davvero tremendamente gentile da parte tua prenderti tutto questo disturbo) è più probabile che scrivano, di loro iniziativa, un'immediata breve lettera per dare l'okay sul mio conto? Sarebbe preferibile tentar di scegliere alcuni nominativi dei quali si sappia che apprezzano le mie poesie? O alcuni degli eminenti direbbero, se tu glielo chiedessi, un paio di parole cortesi in una breve lettera, soltanto a titolo d'amicizia e in nome della fratellanza dell'Arte? Dei nomi che tu hai scritto, sono conosciuto da John Hayward
con «conosciuto» intendo dire che so di essere noto da E. J. O'Brien, Calder Marshall, Collier, Spender, Empson (ma credo che quest'ultimo sia in Cina, no? e devo avere, a mio favore, alcune risposte immediate), Aaronson, Quennell, Rickword. Ma io direi che sarebbero più sicure le persone più o meno di età matura. Sarebbe magnifico se tu scrivessi a tre o quattro di costoro, dicendo loro come stanno le cose, e pregandoli di scrivere al più presto possibile una breve lettera a:


H. I. C. Marshall
Segretario del Royal Litterary Fund
Y. Geli
Trelyllyn
Nr. Towyn, Galles

  La rapidità con la quale otterrò il denaro e Dio sa quanto ne ho bisogno dipende dalla rapidità con la quale queste persone scriveranno una lettera di «autenticazione».

 

[...]

 

  Ho appena avuto, da Reavey, finalmente, l'elenco, compilato dal legale, delle parole, delle frasi, dei passi, e di interi brani reprensibili nei miei racconti. La parola «copulazione» (da me impiegata con riferimento a un albero, in modo del tutto innocente), e «pisciò» (scrissi che un uomo sprezzantemente pisciava controvento per bagnare qualcuno dietro di sé), e, in All Pauls Altar, la descrizione di un assassinio commesso da una donna nuda (in particolare la frase «la testa le si ruppe come un uovo contro il muro»), «la vita santa era una costante erezione per quei signori», e circa 20 lunghi brani, nessuno dei quali minimamente solleticante, nessuno dei quali con parole oscene, nessuno che evasivamente o con circonlocuzioni abbia a che vedere con il fottere tutto questo dovrà scomparire nell'edizione inglese. E in ogni modo preferisco solleticare l'uccello del pubblico inglese che leccargli il sedere, cosa cui mi costringerebbe a fare anche questo piccolo e relativamente poco importante esempio di censura.
  Ringrazia Clement moltissimo per la sua offerta di indumenti infantili, che Caitlin è ben lieta di accettare. Non ve ne sarà alcuna necessità fino alla fine dell'anno, periodo prima del quale forse vi vedremo. È stato molto gentile da parte sua. La nostra creatura, speriamo, non sarà troppo piccola o mostruosamente grossa per gli indumenti. Scrivi presto e dimmi quali componenti della troupe reciteranno per me. Grazie ancora, moltissimo.
  Con affetto a entrambi,                                     

 

Dylan

 

- - - – o – - - -


Le note alle lettere che seguono sono di Vernon Watkins, cosf come pubblicate nel suo libro Dylan Tbomas: Letters to Vernon Watkins.

«Le poesie La lapide disse quando è morta e Un santo sul punto di cadere accompagnarono la lettera successiva, i cui due paragrafi le concernono in quest'ordine. La seconda poesia, alla quale egli aveva lavorato ininterrottamente, era stata scritta in previsione della nascita del suo primo bambino, in gennaio.

Il post scriptum sull'"orco" si riferisce alla poesia Su nessun lavoro di parole adesso, che io avevo battuto a macchina, restituendogliela».


a Vernon Watkins
lunedì
14 ottobre 1938

Sea View, Laugharne

 

Caro Vernon,
  mi dispiace di non averti scritto prima, sono stato spaventosamente occupato con il mio lavoro, con le recensioni, e impastoiato nel tentativo di spillar denaro da una sinistra associazione filantropica. Eccoti la mia nuova lunga poesia e
assolutamente senz'ira quella tipo-Hardy. Ho preso molto attentamente in considerazione tutti i tuoi suggerimenti. La testa ruvida «strana e rossa» era, naturalmente, molto debole e goffo, ma non sono riuscito a convincermi che l'allitterazione «delirante rossa» fosse efficace. Ho provato tutto, e mi sono attenuto al banale «fiammeggiante» che tende il verso abbastanza violento, anche se non proprio abbastanza buono. Vedrai che nell'ultimo verso sono stato audace, e ho cercato di rendere più soffice e più sottile il contenuto della poesia mediante l'impiego del pericoloso «caro». La parola «caro» si adatta, credo, a «sebbene gli occhi di lei sorridessero», che viene prima. Volevo che la terribile reazione della ragazza alla morte orgastica venisse improvvisamente modificata e portata a una sorta di amore senza speranza. Così come io vedo adesso la poesia, mi sembra molto commovente, ma potrebbe essere uno choc eccessivo, tale da scivolare nel ridicolo, forse, e gradirei moltissimo sapere che cosa ne pensi. No, penso sempre che utero «muggente» vada benissimo, esattamente quello che volevo; forse sembra un po' troppo una rima forzata con «eroina», ma questo era inevitabile. Film «affrettato» proprio non sono riuscito a vederlo; lo volevo lento e complicato, il lavoro sinuoso e cinematico dell'utero. Sono d'accordo con la tua obiezione a «piccolo»; «innocente» è splendido, ma «fuggiasco» e «turbolento» mi sembrano, in questo contesto, troppo vaghi, troppo «letterari» (mi spiace adoperare di nuovo questa parola), troppo ambigui. Mi sono servito di «diabolico», che è quasi d'uso corrente.
  In quanto alla lunga poesia
soltanto provvisoriamente intitolata In settembre, e intitolata così soltanto perché è stato un terribile mese di guerra per il momento ne sono molto soddisfatto, più che di ogni altra cosa scritta quest'anno. Ti scandalizza «la Gloria schiacciata come una pulce»? Ti renderai conto, credo, che è necessaria in quel punto, o qualche contrasto altrettanto grottesco. L'ultimo verso della seconda strofa potrebbe sembrare soltanto un guazzabuglio dei miei soliti cliché anatomici, ma se, in passato, mi sono servito con eccessiva disinvoltura di «cervelli e capelli brucianti» ecc., questa volta me ne sono avvalso in quanto erano le uniche parole serissimamente. Rammenta che questa è una poesia scritta a un bambino sul punto di nascere sai che in gennaio diventerò padre per dirgli che mondo vedrà, quali orrori e inferni. Gli ultimi quattro versi della poesia, soprattutto il terz'ultimo, possono sembrare imperfetti, ma ho alterato il ritmo volutamente; «tu così dolce» deve essere molto soffice e dolce, e l'ultimo verso deve ruggire. È una poesia ottimistica, che accetta tutto. Le due parole più importanti sono «Grida Felicità». Parlamene, te ne prego, prestissimo. Sono più sicuro delle parole di questa poesia che di quelle d'ogni altra recente. Voglio soprattutto sapere qual è l'effetto generale della poesia su di te (ma naturalmente tu puoi criticare, se vuoi, ogni particolare).
  Mi spiace che tu non sia potuto venire questo weekend. Cerca di essere qui il prossimo. Ho paura che siamo di gran lunga troppo poveri per poter venire a trovarti, e per molto tempo. Fa' dunque del tuo meglio.
  Con tutto l'affetto,                                                      

 

Dylan

 


[La quartina che segue fu inviata, battuta a macchina su un foglio di carta a parte, insieme alla lettera; venne pubblicata nel corso di quell'inverno dalla rivista «Seven»]:


Io, il primo ad avere un nome, sono lo spettro di questo signore e amico cristiano
Che scrive queste parole da me scritte nella silente stanza d'una casa imbevuta d'incantesimo;
Sono lo spettro in questa casa colma della lingua e degli occhi
D'uno spettro decapitato ch'io temo fino all'anonima fine.


  [Sul retro della busta]:

 

Puoi mandarmi una copia battuta a macchina della lunga poesia?
  La parola è OCRE, non orge o orgy e, come direbbe Pritchard, non sopporterò che la si critichi.

 

- - - – o – - - -


Lawrence Durrell aveva due anni più di Dylan. Erano stati presentati circa un anno prima, ma non si conoscevano affatto bene. Dylan, in questo periodo, ammirava gli scritti di Durrell, in particolare il Black Book, che era stato pubblicato a Parigi qualche tempo prima, quell'anno. In seguito, come si vedrà, doveva cambiare idea. Durrell era venuto a Londra con Henry Miller, un altro scrittore che Dylan ammirava molto. Dirigevano allora insieme, a Parigi, una rivista in lingua inglese, in origine intitolata «The Booster» e poi «Delta».

 

a Lawrence Durrell
dicembre 1938?

Blashford, Ringwood, Hants

 

Caro Lawrence Durrell,
  mi sarebbe piaciuto vederla, dopo quel primo breve incontro in casa di Anna, in un bar pulito con una serata dinanzi a noi e le tasche tintinnanti e un bel po' di fuoco e di sputi e chiassose, grandiose ostentazioni e concettismi di Atlanti e di Londra avvolgenti-si e ronzanti: ma Caitlin ed io ce ne siamo andati in una neve da pantomima, scacciati a mezzanotte, e la notte l'abbiamo trascorsa molto gelidamente e siamo tornati indietro in treno senza biglietti verso la carità in mattinata. Ora questo tepore sta finendo e torneremo in treno senza biglietti a Londra e là vivremo in una pessima convenzione.
  Secondo me l'Inghilterra è il luogo ideale per uno scrittore scorrevole e focoso. I più alti inni al sole vengono scritti nelle tenebre. Mi piace la grigia campagna. Un secchio di sole greco annegherebbe in un colore solo la turba di colori che mi piace mescolare per mio conto su un fango grigio, piatto, insulare. Se andassi verso il sole, mi limiterei a star seduto al sole; sarebbe piacevolissimo, ma non lo faccio, e le sole cose necessarie ch'io faccio sono le cose che sto facendo. Se non per puro caso, e la mia vita ne è governata, mi troverò più vicino a Bournemouth che a Corfù quest'estate. Occorrerà un bel caso perché noi possiamo vivere in qualunque luogo: ci troviamo molte tappe più in là della miseria; completamente privi di tutto; e siamo rassegnati ma furenti; possiamo accettarlo, ma non lo vogliamo. La sua prosa stigia mi è piaciuta davvero moltissimo, è la migliore che abbia letto da anni. Non consenta al sole greco di offuscare le sue pagine come ha detto che ha fatto. Lei adopera le parole come sassi, scagliando, lanciando, ricoprendo di muschio, agitando, affilando, succhiando sangue, fondendo, e una forte acquavite scorre e vortica tra esse continuamente... E la sua prosa è anche così audace; lei si è servito dell'improvvisa immagine di Cristo con incredibile coraggio. Voglio farmi prestare il dattiloscritto del Black Book non appena arriverò a Londra.

  Ma mi domando che cosa penserà Anna dei libri di Miller. La conosco bene. La morale è la sua tazza di té, e i libri sono soltanto birra: li trangugia senza alcuna discriminazione di sapore o di generosità o di qualità, e li giudica a seconda dell'effetto che hanno sulle sue budella. Nel suo caso un buon libro le fa produrre una brutta poesia, che contiene un giudizio morale indipendente, ma hi poesia sarebbe potuta benissimo essere scritta senza il libro. E secondo me è offensivo per i libri prenderli come purgante allo scopo di eliminare materiale che, con una piccola costrizione dei muscoli, potrebbe essere eliminato ugualmente. Il mio libro non è noni meno quasi pronto. Lo sto tenendo in disparte, incompiuto, al esaurisco scrivendo, adesso, le cose che gli nuocerebbero se dovessi continuarlo. Ha scritto, sul retro della busta, che le serviva una poesia per un numero speciale; ne ho una che posso mandarle, ma Miller, nella sua lettera, ha detto di non sapere quando due miei lavori in prosa sarebbero stati pubblicati, a causa di alcune non chiarite difficoltà, ed è piuttosto stupido, non le sembra, mandarle lavori da conservare senza pubblicarli. Ma mi dica, la prego; mi piacerebbe mandarle la poesia, naturalmente.
  Sinceramente,                                               

 

Dylan Thomas

 

- - - – o – - - -


Pochi giorni dopo, Dylan scrisse a Henry Trecce, che nel frattempo era stato suo ospite. A giudicare dalle lettere di Dylan ad altri, la visita non era stata un completo successo. L'arrivo di Augustus John «il Vecchio Maestro» rese quasi impossibile il genere di conversazioni che Treece desiderava avere con Dylan. Il «disegnatore ebreo» è Mervyn Levy, pittore e amico d'infanzia.

 

a Henry Treece
1° settembre 1938

Sea View, Laugharne

 

Caro Henry,
  tutte le scuse, vere e false, per non avere scritto prima. Il Vecchio Maestro si è trattenuto ancora per parecchi giorni dopo che lei era partito per Harlech; la sua vernice stava screpolandosi visibilmente; si è congedato da noi gonfio, e muto a causa della sordità. Poi un mio amico, un buffo disegnatore ebreo, con molte cose da fare e da dire, è venuto qui da Londra con l'autostop, diretto in Irlanda. Si è trattenuto, occupando tutto il mio tempo nei modi che lei ormai conosce, ed anche quello di Caitlin, per più di una settimana finché mia suocera e un amico neutrale sono venuti per una vacanza nel bar. Ora sono scomparsi tutti quanti ed io sono costretto a lavorare. Grazie a Dio il sole è entrato in casa, e posso fare a meno di uscire; non ci rimane altro che l'arguzia e la carta. La prego di perdonarmi. Davvero non ho avuto il tempo nemmeno per la cortesia
e in ogni modo la conosco troppo bene ormai per dover essere cortese e senz'altro non per una lunga lettera.

  Le sole cose che abbia scritto sono state lettere al Royal Literary Fund, per chiedere una sovvenzione, e ad alcune persone rispettabili Eliot e diaconi minori per chiedere loro di appoggiare la mia domanda. Quel che mi occorre adesso urgentemente è un piccolo reddito regolare. La soffitta è ripugnante; non posso mantenere la mano ferma e tenere in moto una lingua selvaggia, se il cruccio, simile a un ozioso magistrato inquirente, siede silenziosamente tormentandomi al mio fianco. La povertà mi rende pigro e astuto. Non sono un poeta del bel tempo, o un vagabondo lirico, o una brillante piccola scodella in attesa della prima pioggia sottile, o un uomo che si taglia la faccia con una frase sublime radendosi; mi piacciono i pasti regolari e bere e una tavola e un regolo... e tre penne. Eliot mi ha appoggiato energicamente - soggiorna nel Galles, adesso, a una cinquantina di chilometri da qui, e verrà per il tè e il segretario del Fondo si rivolgerà a quanto pare per me al Governo Fascista. Il signor Chamberlain va pazzo per i versi moderni, ed io gli manderò una mia fotografia, in bombetta e maschera antigas, rimando womb [utero] con tomb [tomba].
  Questo è soltanto un biglietto per farle sapere che sono vivo, e per scusarmi, e per dire quanto abbiamo gradito il loro soggiorno qui e quanto speriamo che tornino ad essere nostri ospiti e che possiamo rivederci presto. Possono esservi stati brevi momenti di imbarazzo
lei seguì il sentiero in alto, io il Brown ma non hanno rappresentato niente di serio, spero; e un giorno camminerò con lei per quindici chilometri, e lei rimarrà per dieci ore sulla sedia di un bar.
  Forse nessuno di noi è riuscito davvero a ingranare; durante il suo breve soggiorno io ho avuto mal di denti, emicrania da sbornia, reumatismi e mal di mare, e sono stato sempre perfettamente sano. Nelly si era buscata un brutto raffreddore gallese; spero che ora stia meglio. Questo weekend scriverò la buona lettera, con l'analisi eccetera. È una promessa.
  Ho chiesto a John un disegno; lo eseguirà quando tornerà dalla Francia in autunno. Se lo eseguirà di getto, in una volta sola, dovrebbe essere buono, e potrebbe contribuire al successo commerciale del suo libro.
  Scriverò ancora molto presto. Sono spiacentissimo di questo villano ritardo.
  Con affetto,

 

Dylan

 

  Caitlin augura tutte le cose più belle a lei e a Nelly.

 

- - - – o – - - -

 

Il Royal Literary Fund respinse la domanda d'una sovvenzione di Dylan, basandosi sul fatto che egli non era uno «scrittore affermato». «Beachcomber» era lo pseudonimo di D. B. Wyndham Lewis, che scriveva una rubrica sarcastica e umoristica nel «Daily Express». Charles Williams, definito di solito autore di «thriller teologici», era anche direttore editoriale della Oxford University Press. Boots, i «Cash Chemists», dirigevano anche una biblioteca circolante che assecondava i gusti della borghesia non intellettuale.


a John Davenport
23/IX/38
Laugharne, Carmarthenshire

 

Caro John,
  è deludente, certo, ma me lo aspettavo. Conosco quella tollerante malinconia, quella liberale scrollata di spalle nella frusciante tetraggine; ho già sentito «una iniziativa alquanto disperata» (in tono rassegnato ma pur sempre stravagante), «ecco quello che possiamo fare» (i palmi alzati, la cenere lasciata cadere sullo sciatto panciotto che pende da un bottone sbagliato), «siamo soltanto l'intelligencija, sa» (sorriso obliquo, furbesco, di autodisapprovazione), «sì, la Spagna è terrificante» (con improvvisa serietà, gli occhi studiatamente sbarrati) echeggiare come lo scalpiccio di vecchie pantofole in una stanza il cui tappeto è costituito dalle pagine pubblicitarie del «New Statesman», nelle tarde sere estive, quando la nostalgica Hampstead giace mezzo addormentata in una nuvola d'erica e l'aria è colma dei gridi sommessi dei recensori e della dolce scelta dei libri. Reagisco come Beachcomber, e potrei alzaie il bastone Lewis. I piccoli pessimismi di questi contemplatori di tordi dalla mentalità alla Boots
calcolati per far sembrare difficile la troppo facile occupazione dello scrivere potrebbero spingermi a non bere. Quand'è che un uomo può «affermare a buon diritto di essere uno scrittore di professione»? Quando guadagna abbastanza per non aver bisogno di aiuto? Le mie necessità sono minori perché sono giovane? Devo vivere celibe di pane e poesie fino a quando il mio Romanzo non sarà Accettato? In ogni modo, qualcosa potrà venire, presumo, da questo pungolamento del leone; mi piacerebbe stampare i ringhi. Eliot e Charles Williams quest'ultimo è molto rispettabile ed entusiasta hanno scritto lettere a mio favore. Farà qualcosa una delle persone che hai avvicinato? Lo spero. Le «circostanze eccezionali» vanno sottolineate.
  E press'a poco quanto, se qualcosa accadrà, sgancerà il Fondo? Ne hai un'idea? Scrivimi, ti prego, se ci sono notizie, o se non ce ne sono.

 

Dylan

 

  Non sono ancora riuscito ad avere 25 Poems. Il mio nuovo libro di poesie è quasi pronto. Non so davvero a chi darlo.

- - - – o – - - -


«Seven» era una rivistina di poesia diretta da Denys Val Baker. La poesia cui si accenna in questa lettera è Un santo sul punto di cadere.

 

a Henry Treece
(16 ottobre 1938)

Sea View, Laugharne

 

Caro Henry,
  se non fosse che so amaramente fino a qual punto la cosa può rendere furenti un uomo o una Caitlin, e come insinui nella mente una sensazione di offesa che forse prima non c'era, le direi Andiamo, non sia suscettibile. Naturalmente
e lei dovrebbe saperlo; sono forse un fascio vibrante di irascibilità, tutto fiato e ebbra vanità, per poter immaginare che potrei, anche volendolo, essere villano con i miei amici altrettanto incapaci di vanità e di assurdità? non desidero affatto non mantenere le promesse, non scriverle innumerevoli volte e innumerevoli pagine. È soltanto che sono pigro per quanto concerne le lettere e profondamente abbattuto. Lei non deve offendersi perché sono un pigro porco. (Lo so, amaramente lo so: «E chi si è offeso? Accidenti alla sua presunzione, alla sua vanità da testa teutonica, se pensa di aver potuto offendermi non scrivendo»; e questo è vero, ma sempre io intendo dire in un certo senso meno di quanto dico, e nell'altro di più; è la mia onnipresente coscienza, nascosta sotto un umorismo da Pulcinella, a costringermi a rendere dubbio ogni fatto, a tentar di aggiungere il sospetto ai precisi particolari). Ho avuto cosi spesso l'intenzione di scrivere, ho pensato a lei, a quello che stava facendo e perché, e varie volte ho incominciato a scrivere Caro Henry, ho fissato il foglio, sono scivolato in coma, mi sono ficcato le dita nel naso e ho preparato uno spuntino salato, sebbene vi fossero molte cose da dirle e, già da allora, molte scuse da,farle. Sono abbattuto a causa della situazione, che la mancanza di denaro rende dubbia; i debiti stanno aumentando, i fornitori latrano, il governo è troppo indaffarato, il Royal Literary Fund considera insufficienti i miei titoli letterari (occorre, credo, essere un georgiano, uno scrittore di appassite belles lettres), un giorno della prossima settimana dovremo fuggire alla chetichella di qui, abbandonando una casa arredata (ora molto meglio e molto più arredata di quando lei venne qui), una graziosa cittadina, alcuni amici. Per lo meno, se non proprio fuggire, dovremo prenderci una vacanza dai debiti; e questo non li pagherà. Andremo a Swansea per una settimana o due, e poi nello Hampshire.
  (Questo martedì, il 18, vado a Manchester, per una radiotrasmissione con Auden, MacNiece, Spender, eccetera, nel programma chiamato La musa moderna, presentato da M. Roberts. Presumo che sarebbe del tutto impossibile per lei incontrarsi con me a Manchester, quella sera? So soltanto che si trova al Nord, ma non ho idea di dove. Se le fosse possibile, venga alla sede della BBC).
  Ed ora a proposito della sua ultima, ampia lettera: è stato strano sapere che Donald Duck del «New English Weekly» ha deciso ch'io sono troppo giovane per il suo libro. Mi ha scritto la settimana scorsa, dicendo che l'aveva conosciuta, che avrebbe incoraggiato il libro in tutti i modi a sua disposizione, ed anche che io ero un recensore magnifico. Era entusiasta, schiamazzava per pagine. A lei che cosa ha detto? Deve cambiare molto rapidamente le sue idee; e che idee, oltretutto! Sono lieto che «Seven» pubblichi il capitolo sul surrealismo. Vogliono una o due mie nuove poesie da mettere nello stesso numero; ne ho spedite alcune brevi ieri, ma potrà essere troppo tardi. La sua offerta
per la quale avrei dovuto ringraziarla già da molto tempo di una percentuale su tutti i diritti d'autore del suo libro, è generosissima. È stato bello da parte sua pensarci, e accetto con molta gratitudine. Spero che ricaveremo entrambi qualcosa dal libro e che potremo spenderlo insieme. Cercherò di essere a Londra per Natale; deve conoscere alcuni dei miei screditati amici; ne ho una delle collezioni migliori. Caitlin non verrà con me; sta diventando sempre più grossa e il nostro piccolo mostro mezzo formato sta scalciando e si agita con violenza.
  Non abbiamo più avuto visite qui da qualche tempo, e conduciamo un'esistenza molto tranquilla. Ceniamo una volta alla settimana dagli Hughes e loro vengono una volta da noi. Io sto scrivendo poesie e gliele manderò non appena saranno state battute a macchina. Una, credo, è buona quanto ogni altra mia precedente: una poesia piuttosto lunga sul mio bambino non ancor nato. La vedrà la prossima settimana. Voglio imbucare subito questa lettera perché è tardi, e domattina vado a Swansea e quindi a Manchester. Questa è la prima di tutta una serie di lettere noiose. E ho quasi terminato per lei un'analisi di due poesie.
  Sempre suo,                                                                

 

Dylan


  Le manderò inoltre l'indirizzo, quando riuscirò a trovarlo, di una nuova rivista trimestrale americana edita da Ransom. Il primo numero uscirà in dicembre. Vogliono altri lavori critici.

 

- - - – o – - - -

 

Fordingbridge era la località in cui Augustus John aveva una casa di campagna. In efletti sarebbero stati ospitati dalla madre di Caitlin, signora Yvonne Macnamara, a Blashford, che si trova a pochi chilometri da Fordingbridge. La casa di John Davenport era a Marshfield, vicino a Chippenham. Il libro intitolato In the Direction of the Beginning (il titolo di uno dei racconti) non fu mai pubblicato. Sette dei racconti, che Richard Church non considerò osceni, furono pubblicati da Dent. Quello che doveva dare il titolo al libro non si trovava tra essi. Il volume fu pertanto reintitolato The Map of Love, il titolo di un altro racconto, e pubblicato nell'agosto 1939.

 

a John Davenport
4 novembre 1938
Sea View, Laugharne, Carmarthenshire

 

Caro John,
  quanto sei stato buono e gentile. Quelle cinque sterline ci sono state enormemente utili, e adesso i nostri debiti sono quasi tutti pagati. Vogliamo andarcene, a metà di questo mese, per soggiornare nello Hampshire, e forse adesso potremo andarcene senza dover nulla a nessuno, il che sarà splendido. Grazie infinite.
  Ieri sera siamo andati a cena da Hughes
sai che abita qui, è vero; nel castello in rovina ed egli mi ha fatto bere una gran quantità della sua ottima birra amara, e stamane non so dii sono.
  Non ho saputo ancora niente dal Royal Literary Fund. Stanno realmente riconsiderando la loro decisione? Come ci sei riuscito? Quando hai detto che distribuivano quarantacinquemila all'anno, non volevi dire da quattro a cinque? Sto aspettando con ansia, ed ho un guizzo ogni volta che il postino cammina sui gusci dei i noi luschi fino alla porta di casa nostra.
  Un paio di settimane fa ho letto alcune poesie alla radio in un programma che si chiama La musa moderna. Vi partecipavano tutti i ragazzi, e che gruppo affettato eravamo. Hai ascoltato la trasmissione? Tutti i poeti erano nati nella stessa casa e avevano anche la stessa madre.
  Ti mando una copia di 25 Poems ma non sono riuscito a trovare la prima edizione. Questa può andare?
  Gli indumenti del mostro sono arrivati stamane. Può mai un bambino essere così piccolo? Grazie, Clement. Caitlin sta scrivendo un biglietto.
  Chippenham è piena di camere da letto? Ed è lontana da Fordingbridge perché noi saremo là, o quasi là, tra una quindicina di giorni e dobbiamo vederci. Fammelo sapere.
  Ti è piaciuta la poesia che ti ho mandato? Credo che il mio nuovo libro sarà pubblicato dalla Hogarth Press, diretta da John Lehmann; è intitolato In the Direction of the Beginning.
  Grazie infinite. Questa lettera è molto fiacca a causa della birra amara, ma non lo è la mia gratitudine.
  Affettuosità a entrambi.
  Vostro                                                                    

 

Dylan T.

 

- - - – o – - - -

 

La data della lettera che segue è incerta. Può essere stata scritta nel 1939.

 

a John Davenport
16 novembre 1938
Sea View, Laugharne, Carmarthenshire

 

Caro John,
  riusciremo ad andarcene di qui, un posto che ci sta uccidendo un poco questo inverno, per una settimana in dicembre, potremmo recarci a Ringwood e saremmo felicissimi di essere invitati a casa vostra per un giorno o due. Le mie lettere precedenti non hanno avuto risposta, e questa è l'ultima richiesta di una piccola parola. Sarebbe piacevole avere un luogo in cui andare; e ci piacerebbe vedervi. Conosci la poesia di Frederic Prokosch, Le bambole. L'ho vista di recente in un gran numero di antologie. Cerca di procurartela per la lettura con la voce di Spender. Ne ho fatto un'imitazione quasi esatta che potrebbe piacerti: ma devi avere accanto ad essa l'originale:

 

   Le Prostitute [«The Molls», mentre il titolo inglese della poesia di Prokosch è «The Dolls».]

 

   Sul pavimento le ho trovate distese,
   Forme maschili, labbra di donna, ma vestite da maschi:
   Notte dopo notte con le mani implorano
   Emetici Percies per i loro piaceri. [«Percy» al plurale vuol dire «effeminato.»]


   Vomitano nella mia segreta notte

   Con stantia e terrificante ostentazione

   E offrono come ultima delizia

   Un rozzo, infelice, crampo anale.


   Dolcemente sospirano al mio di dietro

   Parole focose, tutte lusinghe, male educate,

   E quando sogno di loro trovo

   Poesie a macchia di pavone sul mio letto.


  Il vero ultimo verso della poesia è: «Piccole lacrime di vetro sul mio letto». Non avrei potuto far di meglio e non ci ho provato.

  Affettuosità a tutti

 

Dylan

 

- - - – o – - - -

 

«Grane» nella lettera che segue è Hart Grane. Goodland, Cooke e Moore avevano a che fare con la rivista «Seven». John è Augustus John.


a Henry Treece
31 dicembre 1938

Blashford, Ringwood

 

Caro Henry,
  la sua indignazione mi fa vergognare. Nel biglietto del 19 dicembre si firmava «Sempre, Henry». Tra quella data e il 30 un veleno ha agito, un uccellino le ha detto qualcosa, e « Sinceramente suo, Henry Trecce» mi fissa e mi abbatte. Ho ricevuto la sua piacevole ultima lettera a Laugharne e sono stato fiero e lieto di averla. Io le piacevo come uomo, ma lei non mi ammirava (l'imperfetto consente una rettifica) il che è proprio come dovrebbe essere; la penso nello stesso modo per quanto mi concerne. La mia egoistica noncuranza e la mia mancanza di puntualità non cerco di giustificarle come tratti caratteristici di un poeta. Sono uno spauracchio e un'impostura. Il guaio egoistico è che io stesso ho dovuto sopportare questi difetti davvero esasperanti così a lungo da aver finito quasi con il pensare che possano sopportarli anche gli altri. Sono io a destarmi più vicino a me stesso, e il continuo orrore causato dalla consapevolezza di questa individualità mi ha indotto quasi a credere che le reazioni degli altri al mio Io orribile
il quale non sarebbe se stesso se non possedesse i difetti ecc. che mi inducono adesso a scrivere questa confessione semplificata di complicato egoismo così disordinatamente siano abbastanza modeste, in confronto, per poter essere considerate come un danno altrui o per poter essere ignorate con un pensiero imbronciato. Ma naturalmente mi scuso, e con sincerità. Il mio silenzio non è mai il risultato di promesse di rumore. Ogni mia intenzione di essere a Londra per Natale è stata presa a calci nel desiderio dal pensiero di diventare padre. Siamo stati portati via in fretta e furia da Laugharne, e sembra che non abbiamo più potuto riprenderci. Non so perché la lettera le sia stata restituita con la stampigliatura «destinatario sconosciuto», a meno che non si trattasse di un'allusione del servizio delle poste al crollo della mia già traballante reputazione. Forse questa lettera diretta a lei sarà restituita con il timbro «Non esiste una persona simile». Nulla è al di sopra della burocrazia tranne un cuore.
  Per rispondere alla sua prima lettera: Non firmerò, con o senza discussioni, il Manifesto Apocalittico. Non firmerei nessun manifesto, a meno che non ne avessi scritto ogni parola, e in tal caso potrei vergognarmi troppo. Lo approvo quasi tutto e mi piace, ma una parte di esso è manifestamente assurda. Questo non significa deridere a modo mio una cosa alla quale lei ed altri hanno dedicato tempo e riflessioni in misura considerevole; voglio soltanto dire che il linguaggio di documenti del genere mi è estraneo, e che soltanto la realtà organica mi preme. Non riesco a capire come Auden non conosca Paperino, a meno che Paperino sia ritenuto essere un simbolo e non un buffo uccello. Paperino è proprio ciò di cui Auden è conscio. Per lui (Auden) ciò su cui inciampa questo nostro problematico scoiattolo è più importante dell'inciampare dello scoiattolo. Auden scrive spesso come Disney. Come Disney, conosce la forma degli animali (e, sia detto di sfuggita, anche lui potrebbe avere un gruppo di artisti che producano i suoi versi); a differenza da Lawrence, ignora che cosa sia a foggiare o a motivare questi animali. È un naturalista in cerca di animali che somiglino a lui, e, non riuscendovi, tenta di foggiarli come la sua stessa curiosa immagine. Il vero naturalista, come Gilpin, offre l'alluce al pipistrello vampiro; Auden succhierebbe il pipistrello. Mi è piaciuta moltissimo la sua ragionevole contraddizione della citazione da Marx. Ma tutto questo è un po' come fustigare una forza morta. Un'altra cosa ammirevole è l'insistenza, senza pregiudizio irrazionale, sulla dissoluzione dell'uomo. Il titolo Apocalisse: l'Uomo dissoluto mi piace più del suo. Ma non è questo il momento di discutere su una dichiarazione di fede con la quale concordo quasi completamente, ma con la quale non posso simpatizzare del tutto (o anche in modo dissoluto), a causa del mio dogma dell'Accettazione Arrogante. Se mi si concedesse tempo
lei sa che io scrivo adagio, e non troppo spesso per intromettermi sarei lietissimo di scrivere per «Apocalisse». Cercherò di scrivere qualcosa su Grane, ma sarà una cosa lenta. Questa non è, so che lo sa, un'affettazione. Le piacerebbe quel pezzo in prosa al quale stavo lavorando copiandolo, una volta, in una scrittura microscopica in modo affettato a Laugharne? La prima metà è finita. E avrò una poesia, non molto lunga, terminata per la metà di gennaio.
  Non starò a litigare adesso
dico sul serio, anche se è una cosa scriteriata in una lettera di ammenda per la sua promessa della «pubblicità» apocalittica. Non mi crede quando dico che non voglio mi si faccia la pubblicità? Oppure sì? Ho tutta la pubblicità che la mia piccola produzione merita, e siccome la piccola produzione di altre persone ha una maggiore e immeritata pubblicità, dovrei preoccuparmi? La pubblicità non mi procaccerà più denaro; il poco lavoro che produco è pagato tanto quanto possono permetterselo gli stracci ai quali collaboro. La pubblicità non aumenterebbe la mia produzione sarebbe anzi tutto l'opposto né la renderebbe vendibile alle riviste che pagano meglio, né indurrebbe a pagare meglio quelle riviste che continuerebbero a pubblicarmi.
  A proposito della citazione del manifesto da quella mia lettera: non crede, esaminando la cosa con freddezza, che la sua efficacia (se ne ha) sarebbe accresciuta tagliando «...eppure io sono consapevole anche di queste cose»? Senza dubbio, il mio catalogo conscio lo implica? Penso che quelle ultime poche parole
chiunque le abbia scritte suonino presuntuose. Immagini se sostenessi di non essere consapevole di Oxo, di Damaroids e Bunny Austin. Non può far finire la citazione alle parole «...vivo e mi agito»? La prego. E dico questo se proprio non può fare a meno di citare quella sciocchezza.
  Metà di questa lettera era già stata scritta quando ho avuto notizie da Henry Miller, arrivato a Londra per pochi giorni; e per fortuna sono riuscito a farmi portare in macchina da lui. Ho incontrato anche quello scimunito di Goodland, l'uomo delle amicizie dagli occhi blu-e-acqua, l'uomo-del-sì, il non-uomo. Ho mancato di poco gli altri ragazzi, Cooke, Moore, eccetera. Sono migliori di Goodland?
  Ho ricordato a John il quadro. Egli ha ora due miei ritratti finiti. Dell'uno mi servirò nella mia prossima raccolta di poesie; l'altro, John è dispostissimo a lasciarlo utilizzare nel suo libro. Dovrà essere fotografato da un fotografo esperto; a questo, naturalmente, bisognerà che provvedano i suoi editori. Sto lavorando a un'analisi di alcune delle mie poesie in questo momento, ma di recente vi sono state innumerevoli interruzioni. Ora basta.
  Sono contento di sapere che si sposerà così presto. Ci ricordi a Nellie. La vedremo quest'estate? Grazie per la sua casa aperta. Sa che anche la nostra lo è. Scriva presto. Questa è stata una lettera imbarazzante a scriversi. Sono certo che tutte le nostre prossime lettere saranno più facili. Saluti da Caitlin.
  Sinceramente suo,                                           

 

Dylan Thomas

 

Sempre,

 

Dylan